Ermal Meta Umano

Ermal Meta: «La musica è come un lupo, è lei a sceglierti»




Incontro Ermal Meta in un freddo pomeriggio milanese di fine febbraio. Il cantautore, reduce dal terzo posto tra le ‘Nuove Proposte’ a Sanremo 2016 con Odio le favole, è nel bel mezzo di un intenso promo tour per presentare il disco Umano, pubblicato lo scorso 12 febbraio su etichetta Mescal.
Benché questo sia il suo primo album da solista, Ermal Meta non è un esordiente: venuto alla ribalta con la band La Fame Di Camilla (3 dischi incisi e una partecipazione a Sanremo nel 2010), è diventato negli ultimi anni una delle penne più richieste nel panorama pop nazionale. Molti i brani di successo scritti da lui e interpretati – tra gli altri − da artisti come Marco Mengoni, Emma, Annalisa e Patty Pravo.
Ci sediamo al tavolo di un bar per parlare di Umano ma anche per permettere al cantautore di tirare un po’ il fiato: “Non mangio da ieri sera e non sto più in piedi. Sono stanco, ma bisogna prendere al volo questo momento”, mi confida dopo aver ordinato una piadina.

Ermal Meta Umano
Ermal Meta, cover dell’album “Umano”

Un bilancio di Sanremo?
Il bilancio è molto positivo perché intanto sono arrivato terzo e non me lo aspettavo, la canzone sta andando bene in radio e sento una bella energia sul disco. Poi per fortuna Carlo Conti ha fatto cantare noi giovani in apertura di puntata e non in chiusura, ed è stata un’ottima scelta.

Come mai hai intitolato il tuo disco Umano? La stessa copertina è molto suggestiva, ha una qualche correlazione con il titolo del progetto?
Credo che gli uomini siano contenitori di infinito. Questa è la mia definizione dell’essere umano, e anche la cover lo ribadisce: c’è una galassia che rappresenta l’infinito, ma allo stesso tempo siamo figli della terra ed ecco l’immagine di una montagna sulla faccia.
Il disco è legato all’esperienza di tutti i giorni, a quello che viviamo, ai rapporti con gli altri e a come ci muoviamo nel mondo.

Un disco dai colori molto diversi: basta vedere l’accostamento nella tracklist di due canzoni come Bionda e Lettera a mio padre
Perché noi stessi siamo fatti così, di leggerezza ma anche di pesantezza e profondità. Le canzoni sono molto diverse l’una dall’altra perché lo sono le sensazioni che uno prova: non proverai mai due volte la stessa cosa nella tua vita, e lo stesso vale per le canzoni. Non ho voluto fare un album che avesse un genere, l’unico genere che per me esiste è quello umano.

A proposito del brano sanremese Odio le favole hai dichiarato che parla di quanto la realtà sia molto più interessante di qualsiasi favola, perché quest’ultima ha un finale già scritto, la prima invece no. Ti interessa di più, dunque, la costruzione di un percorso in prima persona?
Sì la canzone è metafora proprio di questo: io sono aderente alla vita, e la vita vuol dire io e te seduti in questo momento al bar, e tutto quello che attraversiamo giornalmente. C’è una gran poesia nell’asfalto.

Anche il tuo percorso artistico sfugge ai finali prevedibili delle favole. Prima hai militato in diverse band, poi ti sei dedicato all’attività autorale e infine sei tornato a cantare. Che cosa ti ha spinto a rimetterci la faccia?
In realtà non l’ho mai tolta, mi sono eclissato perché volevo farlo. Ho lavorato dietro le quinte come autore per altri artisti per sapere come fosse ascoltare le emozioni di qualcun altro su qualcosa che avevo scritto io, e come quell’emozione tornasse indietro.

E i brani di questo disco ti rappresentano in misura maggiore rispetto a quelli che sono stati interpretati da altri?
Tutto ciò che ho scritto è una piccola parte di quello che sono. Te lo dico à la Whitman: “Sono ampio, contengo moltitudini”. Sono quello che sono adesso, domani sarò già diverso. Questo disco è una fotografia di ora.

C’è un brano tra quelli che hai ceduto che un po’ ti è dispiaciuto lasciare andare?
In realtà no.

Quindi l’idea di realizzare tra tanti anni un disco in cui canti quelle canzoni non ti tange…
Potrei anche farlo, sarebbe una cosa molto divertente.

Riascoltando Buio e luce (l’album del 2010 de La Fame di Camilla, ndr) si nota che la tua scrittura oggi è più pop. Che cosa puoi dirmi dell’evoluzione della tua penna in questi sei anni?
Semplicemente si cresce, 6 anni fa ero un po’ più sulle nuvole, ora sono sceso sulla terra. Forse è questo che tu identifichi come pop, io dentro di me lo sono sempre stato nel significato più alto del termine, cioè ‘popolare’.

Quindi pop nel senso di più diretto?
Sì, esatto. Meno ‘volatile’.

Avremo modo di ascoltare altri brani firmati da te in dischi che stanno per essere pubblicati, in particolare quelli di Lorenzo Fragola e Annalisa?
In quello di Annalisa no, eravamo entrambi impegnati e non abbiamo avuto modo di organizzarci, invece nel disco di Lorenzo sì, con lui ci siamo mossi per tempo.

Come mai i tuoi fan si chiamano lupi?
(Ride, ndr) Nasce da un’intervista in cui mi hanno detto: “In bocca al lupo” e io ho risposto: “Che il lupo corra con me!”… Che poi il lupo è il mio animale preferito, quindi non è neanche del tutto casuale.

Perché? Che cosa simboleggia per te?
Il lupo è come la musica: se ti si avvicina è perché ti sceglie lui, non lo scegli tu. Mai. Hai mai visto un lupo in un circo? Ecco, io mi sento un po’ così (conclude mentre addenta la sua piadina, ndr).

Immagine di copertina: Fabrizio Fenucci

Emanuele Corbo




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