L’anno scorso ha spiazzato tutti con la hit Alfonso, diventando una delle protagoniste dell’estate 2013, e con i singoli Memo e Sbadiglio ha detto la sua su storie d’amore imperfette e annoiate. A marzo è uscito l’atteso disco d’esordio Manuale distruzione (INRI), con il quale Levante, nome d’arte di Claudia Lagona, siciliana d’origine e torinese d’adozione, ha raccontato senza troppi giri di parole dolori e difficoltà di vita reale. L’abbiamo incontrata giovedì 3 luglio nei camerini allestiti al CarroPonte di Sesto San Giovanni (MI), subito dopo le prove del concerto che avrebbe tenuto in serata (alcuni scatti in fondo all’articolo). A PopSoap la giovane cantautrice ha rivelato la genesi dell’album, la direzione che sta prendendo il secondo lavoro di inediti e l’emozione di essere l’artista di supporto al tour dei Negramaro, in partenza questa sera.
Manuale distruzione è stato prodotto e realizzato nella cerchia della scena indipendente torinese. Come hai conosciuto il tuo produttore Bianco e che aria si respira a Torino musicalmente parlando?
Nonostante facessi musica da molti anni, non avevo idea di cosa stesse realmente succedendo a Torino. Mi sono resa conto di questa bellissima scena nel 2010 venendo in contatto con musicisti e cantautori tra cui Daniele Celona, Alessio Sanfilippo e Federico Puttilli. Conoscevo Alberto Bianco già da molto tempo, ma è arrivato nella mia vita musicale solo più tardi: quando ho fatto ascoltare i miei provini a Davide Pavanello, uno dei fondatori – di lì a poco – di INRI, mi disse che la loro prima pubblicazione sarebbe stato il disco di Alberto. «Ma io lo conosco!» ho replicato, e così dopo mille peripezie l’ho scelto come produttore del mio album, perché mi piaceva il suo gusto musicale.
Poi l’anno scorso questa scena è venuta alla ribalta a livello nazionale…
Sebbene tutti questi ragazzi suonassero da tanto tempo, l’attenzione maggiore è stata data nel momento in cui è esplosa Alfonso. Non voglio certo prendermene i meriti, però i media si sono focalizzati sul fatto che a Torino ci fosse una ragazza che non aveva partecipato né a un talent né a un reality, non si sapeva da dove venisse. Così tutti hanno teso l’orecchio, scoprendo l’intera scena.
La scatola blu è stato il primo brano che hai composto per l’album. Che cosa c’è dentro quella scatola? È stato come aprire il vaso di Pandora?
Consapevolmente il primo brano scritto per l’album è stato La scatola blu, inconsapevolmente la canzone più vecchia è Come quando fuori piove, che avevo composto nel 2009 come parte di un disco che non è mai uscito; era rimasta in sospeso e l’ho inserita in Manuale distruzione. La scatola blu è come aprire una scatola dei ricordi: c’è un momento nella vita in cui non sai chi sei, che cosa fare e che cosa farai, ma una volta aperta trovi tutte le risposte. Io ho capito di voler essere una cantautrice semplice. Le prime parole del brano sono “solo te, solo tre, solo te e tre accordi”, e rappresentano in pieno quello che volevo dire: avevo scoperto la semplicità, elemento a cui tengo tantissimo insieme alla sincerità di quel che scrivo.
Il tuo ultimo singolo Duri come me suona come una marcia da combattimento. Lo usi ancora oggi come mantra quando attraversi qualche momento di sconforto?
Sì, e a differenza di Alfonso che è un grido di disperazione volto a esorcizzare un particolare momento, Duri come me è stata scritta quando ho veramente toccato il fondo e mi sono detta: «Adesso basta o adesso per sempre». E ho scelto “adesso per sempre”.
Dopo la distruzione c’è la fase della ricostruzione. Come sta andando questo processo?
Mi sono fatta del male per molto tempo, al di là di quello che la vita riserva a ciascuno di noi. Anche se devo ancora fare i conti con una parte di me veramente distruttiva, ora sto ‘costruendo’ e il nuovo disco attualmente in lavorazione lo dimostra: è improntato al bene, al bello e ai colori. Con Manuale distruzione ero consapevole del fatto che stessi dicendo: «Ci sono tante cose che fanno schifo», in quest’altro dico: «Ci sono tante cose che fanno schifo, ma io voglio vedere il lato positivo di tutto».
Un tour con Max Gazzè, Le feste di Alfonso, Manuale Distruzione Tour e ora l’apertura dei concerti dei Negramaro: la dimensione live sta diventando sempre più importante nella tua carriera, che effetto ti fa?
Sono molto felice ma, essendo severa con me stessa, penso sia un peso troppo grande da sostenere per le mie spalle, però voglio farcela. Sono spaventata. Per farti capire, ho lasciato l’università perché avevo troppa paura di dare gli esami, ma questo è il mio sogno e combatto anche con l’ansia (confida mentre tormenta l’etichetta di una bottiglietta d’acqua, ndr). Le aperture sono molto pesanti perché non sei tu l’artista principale, tanti ti danno le spalle, alcuni parlano al cellulare, altri ti gridano: «Basta!». Qualcuno resta attento, ma sono pochi.
A distanza di un anno, vuoi ancora bene ad Alfonso? Non ti fa paura l’idea di essere obbligata a suonarla live ancora per molto tempo?
No, la farò sempre, ormai è un evergreen! La scorsa estate ho avuto paura di rimanere vittima dell’effetto tormentone, poi è uscito il disco e molti si sono ricreduti sul mio conto, specie coloro che avevano sputato sentenze affrettate. Quando si scopre il percorso artistico di una persona e tutto ciò che ha fatto, si capisce che sotto c’è molto di più e che la prima impressione può essere fuorviante. Io oggi so che sarò per sempre “quella di che vita di merda”, ma va benissimo (afferma divertita mentre un sorriso fiero si allarga sul suo viso, ndr).
Foto di copertina: Fabrizio Fenucci
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