Tra i ricordi musicali che l’estate 2015 lascerà dietro di sé troveremo sicuramente Petite Meller e la sua Baby Love, canzone tra le più programmate in radio e cliccate in rete grazie a un bizzarro video nel quale la ex modella francese con il pallino per il cinema – soprattutto italiano – danza tra le giraffe e i bambini di Nairobi. La nuova pop, o meglio nouveau jazzy pop come specifica lei, sensation ama riversare nella sua musica i colori e i suoni dell’Africa uniti agli ascolti jazz di infanzia e agli studi filosofici intrapresi alla Sorbona. In attesa del disco di debutto Milk Bath previsto tra la fine di quest’anno e i primi del 2016, il 30 luglio Petite Meller sarà nel cast dell’ultima puntata del Coca-Cola Summer Festival in onda in prima serata su Canale5. A PopSoap l’artista dal viso di porcellana ha presentato la hit Baby Love in un’intervista in bilico tra filosofia e scienza, tra Lacan e Ricchi e Poveri.
Milano. Una caldissima mattinata di metà luglio. Petite Meller si presenta all’incontro con un top a fasce larghe bianche e gialle, shorts e cappello alla pescatora in denim che sistema continuamente nel corso dell’intervista e dal quale fuoriescono due treccine bionde. Tra le mani stringe una tazza di cioccolata, quanto di più strambo in una città messa in ginocchio dal caldo torrido. La sua voce è flebile e cantilenante come quella di una bambina; il volume molto basso, a tratti si fa fatica a sentire ciò che dice.
Hai definito Baby Love “un canto a cappella per incanalare il piacere fuori dal dolore”. Che cosa intendi?
Il brano parla di una delusione d’amore, ma il produttore svedese con cui l’ho scritto (Joakim “Jocke” Åhlund, ndr) l’ha reso molto allegro. È come se ballando si allontanasse il dolore, e questo è un aspetto che mi piace molto in generale. I ritmi africani che si sentono mi riportano alla mente la musica con cui sono cresciuta, come Graceland di Paul Simon o i Ladysmith Black Mambazo. Da qui la decisione di girare il video in Africa: avevo già ogni singola scena in testa, pensavo a ragazze che soffrivano per amore ma che il beat induceva a ballare.
I Ladysmith Black Mambazo saranno anche nel tuo album, come li hai conosciuti?
Ho lavorato con Craigie Dodds, produttore sudafricano che aveva già collaborato con loro. È stato lui a rendere possibile questo incontro musicale.
Baby Love è indicativa del tipo di canzoni che troveremo in Milk Bath?
Sì, sono tutti brani con i quali cerco di esorcizzare il dolore. È il mio genere, che io chiamo nouveau jazzy pop. Ho lavorato con diversi produttori e ora credo di aver trovato il mio linguaggio musicale fatto di sassofono, conga, bongo e pianoforte. Nel mio background convivono la chanson francese, la musica africana e il jazz, specie quello di Duke Ellington.
È vero che tuo padre ascoltava i Ricchi e Poveri?
Sì (ride, ndr), prima dei miei show ascolto sempre una loro canzone che amo e poi salgo sul palco.
Quale?
(Canticchia il ritornello di Sarà perché ti amo, ndr). È anche in un film, lo sapevi? L’effrontée, con Charlotte Gainsbourg, al quale mi sono ispirata per il video di Backpack.
La tua musica e i tuoi video sono pieni di riferimenti cinematografici…
Credo che un artista debba assorbire dal proprio inconscio tutto ciò che ama, inclusi libri e film. Ho visto tanto cinema classico, adoro Antonioni e Fellini, e naturalmente ho assorbito anche i miei studi filosofici al punto che, dopo aver girato un video, lo riguardo per analizzare e capire cose di me.
Com’è nata questa passione per la filosofia?
Non saprei… Il mio filosofo preferito è Lacan, che parla di desiderio e inconscio. Non credo che la gente lo capisca molto, leggere le sue opere è una sfida e a me piace quando non comprendo qualcosa fino in fondo. I miei video sono un po’ così: un puzzle di sogni, situazioni assurde e desideri.
Prima di intraprendere la carriera solista hai fatto parte della band Terry Poison con cui facevi musica elettronica. Che cosa è cambiato in questi anni dal punto di vista del tuo gusto musicale?
Sai, in una band ci sono gusti molti diversi tra loro. Quando sono andata a New York ho iniziato a frequentare i jazz club di Brooklyn che mi ricordavano la musica con cui sono cresciuta e lì ho capito che avrei dovuto lasciare quel progetto e fare le mie cose. Credo sia questa la magia di New York: ti dà il coraggio di fare quello che senti, così ho iniziato a dedicarmi alla mia musica e al mio genere.
E hai fatto bene, a giudicare dal riscontro.
Io non voglio essere famosa ma far star meglio la gente. Ogni tanto le persone mi scrivono per ringraziarmi del fatto che Baby Love ha avuto un effetto positivo su di loro, ed è questa la mia missione. Ecco perché voglio che sia la mia musica ad arrivare ovunque, non tanto io.
In tutto quel che fai dai molta importanza alla fantasia: è un modo per scappare dalla realtà?
Questa è una domanda molto filosofica (ride, ndr). Non credo in una sola realtà, penso ce ne siano tante e che siamo noi stessi a crearle con la nostra immaginazione. Stephen Hawking ha scientificamente provato, se leggi il suo ultimo libro, che esistono diverse realtà nello stesso momento. Perciò perché non creare la propria e cercare di renderla migliore con l’immaginazione e i sogni?
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