Golden, l’insolito compromesso di Kylie Minogue




Dopo mesi di paziente attesa dall’annuncio ufficiale, un leak prematuro scongiurato in parte e tre assaggi serviti al pubblico (Dancing, Stop Me From Falling e Raining Glitter), Golden, il nuovo album di Kylie Minogue, sarà finalmente disponibile in tutti i negozi di musica e sulle piattaforme digitali a partire da venerdì 6 aprile. Primo LP in studio realizzato assieme alla BMG Rights Management, nonché 14esima fatica musicale per la Minogue, Golden raccoglie 12 tracce nella sua versione standard e 16 in quella deluxe, e annovera nella moltitudine dei formati in vendita non solo edizioni in CD e vinile, ma perfino la cara vecchia musicassetta per la gioia dei collezionisti. Noi di PopSoap abbiamo ascoltato il disco in anteprima, e questa è la nostra recensione a caldo.

Kylie Minogue, cover dell’album ‘Golden’

Kylie accantona la dance

C’è un boccone amaro (anzi, amarognolo) da mandare giù subito: quando la piccola e dolce Kylie aveva descritto il suo nuovo progetto in una nota spedita al quotidiano inglese The Guardian, lo scorso dicembre, le parole spese per Golden accennavano ad una ’’collisione fra elementi dance e country, avvenuta presso l’altare di Dolly Parton eretto sulla pista da ballo’’. Ebbene, di musica dance in questo nuovo album ce n’è davvero poca, sia in senso analogico che digitale. Oseremmo dire che è ai minimi storici per una come la Minogue, abituata a deliziarci da ben tre decenni con l’opulenza delle sue leccornie electro pop.
Golden è un compromesso insolito per Kylie, una giustapposizione fra sound organico e sintetico, nonostante il piatto della bilancia penda più a favore del primo elemento. È un album omogeneo – pure un po’ troppo – in cui a dare corpo e anima ai vari brani sono gli strumenti a corda, ritmi meno pompati del previsto (talvolta ballabili, talvolta per niente) e quella fulgida malinconia in polvere che la diva australiana ha voluto spargere su gran parte del disco, fin da quando bisbigliava alla stampa di aver cominciato a sfiorare l’idea di rimediare al fiasco del poco fortunato Kiss Me Once (2014), seguito dal progetto natalizio Kylie Christmas (2015/2016) e dall’addio all’ex label Parlophone/Warner Music Group.

L’album più personale

Dall’altro lato, abbiamo una Kylie nel pieno del suo controllo artistico, che contribuisce a finanziare l’LP (di cui detiene il copyright) attraverso la compagnia privata Darenote e vede finalmente il proprio nome spiccare fra gli autori di tutte le canzoni in esso contenute, nominando Golden il suo album più personale, secondo solo a quel vortice di elettronica irrequieta e alternativa che fu Impossible Princess nel ’97. E non abbiamo dubbi sul fatto che la sua partecipazione ai testi e alle melodie sia del tutto genuina, dal momento che la Minogue è una notoriamente modesta quando si tratta di aggiungere la propria firma ai crediti di scrittura.

Il processo creativo

Come sa bene lo stuolo dei Lovers, non c’è album di Kylie che si rispetti senza un processo creativo in costante divenire: poteva mai Golden rappresentare un’eccezione? Dopo aver ufficializzato il contratto con la BMG Rights Management, il team assemblato per la popstar si è subito messo all’opera per sviluppare il nuovo progetto musicale, ma le fondamenta non sono state salde fin dal principio. L’opzione di partenza, bocciata in tempo, contemplava la via dell’R&B/pop, quasi a voler sfornare una sorta di Body Language riveduto e aggiornato agli anni 2010, con sguardo nostalgico rivolto a classici old school come That’s The Way Love Goes di Janet Jackson (indicata addirittura come traccia di riferimento nell’email contenente le direttive a cui attenersi). Ma nel giro di un mese scarso, l’idea viene accantonata a favore di un cambio di rotta più consono all’immagine e alla vocalità della diva australiana: stando a quanto dichiarato da Alexi Cory-Smith, l’allora neo eletta presidente della BMG UK, il passo successivo diventa realizzare un disco che sprigioni l’essenza più pura dello stile ’Classic Kylie’, di cui singoli come Love At First Sight, I Believe In You, In My Arms e All The Lovers rappresentano gli esempi migliori. Subentrano quindi collaborazioni con Jim Eliot, il trio degli Invisible Men, DJ Fresh, gli amici/colleghi storici Karen Poole e Richard ’Biff’ Stannard, l’emergente DJ Sigala e alcune delle matricole più valide del songwriting britannico.
Eppure, il risultato ottenuto dalle svariate sessioni in studio spinge non pochi a storcere il naso, soprattutto perché inseguire e cercare di ricreare le glorie sfoggiate da Kylie negli anni 2000 era stato, in buona sostanza, il vizio prediletto della casa discografica precedente. Ecco allora la svolta, avvenuta nel pieno della scorsa estate: a suggerirla è Jamie Nelson (direttore artistico della BMG dopo aver ricoperto il medesimo ruolo presso la vecchia EMI/Parlophone fino al 2008). Jamie è il procacciatore di hit per la Minogue, quello che per primo ha fiutato le potenzialità di brani come Spinning Around e Can’t Get You Out Of My Head, ed è appunto lui che consiglia a Kylie una breve vacanza negli States, a luglio del 2017, proponendole come meta niente meno che Nashville.

Kylie goes country

Inebriata dall’odore agreste della paglia e del fieno e sedotta dalla visione delle colline in fiore e dei motel in legno del Tennessee, la cantante trova quindi l’ispirazione decisiva: Kylie goes country. O perlomeno, si lascia influenzare dal genere e riprende in mano carta e penna godendo del supporto di nomi altisonanti del luogo come Steve McEwan e Nathan Chapman (produttore storico di Taylor Swift) con cui lavora a diverse tracce, compresa una versione demo di Dancing che verrà in seguito remixata dall’afrotedesco e meno noto Sky Adams per l’inclusione nell’album.

Le tracce di Golden

In questo marasma di titubanze che ha contornato la nascita di Golden, un punto è sempre stato fermo: affrontare nel disco temi ben precisi, spesso e volentieri autobiografici. Complice il cambio di direzione, tuttavia, molte delle canzoni registrate in precedenza vengono escluse e non più rielaborate perché troppo didascaliche rispetto alla recente (e cocente) delusione amorosa vissuta da Kylie dopo il tradimento del suo promesso sposo, l’attore inglese Joshua Sasse. Toni e contenuti nei nuovi brani diventano quindi meno contestuali e diretti, ma pur sempre ispirati da vicissitudini della sfera privata e riflessioni della cantante. Altri pezzi, invece, pur non avendo visto la luce a Nashville, superano la scrematura finale restando in linea con il mood dell’LP (fra queste ci sono la suggestiva One Last Kiss e Shelby ’68, incise assieme a Richard ’Biff’ Stannard).

Si parte così dalla traccia omonima dell’album, esaltata a più riprese dai gorgheggi in stile yodeling di Kylie, da un groove ben ponderato fra chitarra e batteria e da un ritornello pregnante in cui l’ormai cinquantenne fatina del pop sminuisce il valore anagrafico dell’età e invita tutti noi a sentirci e a rimanere ’dorati’ vita natural durante. La stessa intenzione di celebrare con ottimismo l’essere in procinto di varcare la soglia aurea del mezzo secolo è sempre stata una costante nel processo creativo, tale da spingere la Venere tascabile a scrivere non uno ma ben due brani intitolati Golden, il primo assieme a Danny Shah e Sky Adams e l’altro assieme a Liz Rose, Steve McEwan e Lindsay Rimes, scegliendo di usare proprio quest’ultimo per il disco. Ci sono poi pezzi più intimistici come Radio On, in cui la voce della cantante, accompagnata dagli archi del violinista torinese Davide Rossi, descrive il sano conforto che la musica può offrire quando tutto sembra andare per il verso sbagliato. Diametralmente opposta è l’autoironia della più pimpante A Lifetime To Repair, una sorta di Kylie meets Avicii in cui la ragazza che trent’anni fa era solita canticchiare ’’I should be so lucky in love’’ ride della propria sfortuna in campo sentimentale (’’Cupido non mi vuole più bene come una volta / Ho troppo spesso il cuore spezzato’’) e si rassegna leccandosi le ferite provocate dai dardi che il dio bambino si diverte a scagliare contro di lei per capriccio.

Non mancano momenti discutibili come la mielosa celebrazione dell’amore universale intonata in Love e altri in cui la direzione country pop risulta così prominente da influenzare l’arrangiamento di tracce come Raining Glitter, dove gli arpeggi del banjo sembrano quasi stridere con le più calde sonorità synth disco, benché l’insieme suoni tutto sommato godibile. Live A Little, al contrario, rappresenta una delle brevi parentesi in cui il genere prescelto per l’album vira verso un approccio più funky, mentre la dedica ai fan, Sincerely Yours, prodotta da Telemitry, è un ringraziamento speciale che la cantante rivolge ai suoi Lovers, gli unici ad averle promesso e dimostrato fedeltà nel corso degli anni. La chiusura del disco spetta infine ad una ballad a tratti commovente, come non se ne vedevano da anni in un album di Kylie, Music’s Too Sad Without You, un duetto con Jack Savoretti incentrato sulla nostalgia di un amore appena sfumato che incupisce il nostro stato d’animo al punto tale da non permetterci più di godere delle piccole abitudini e delle passioni quotidiane.

Un album destinato a dividere

Lungi da noi voler dare le pagelle, abbiamo l’impressione che questo nuovo album risulterà abbastanza divisivo in Kylieland, ma siamo anche del parere che, talvolta, comprendere le dinamiche che portano gli artisti a seguire percorsi alternativi (e meno consueti), al fin di mettere in risalto qualcosa che nei lavori precedenti non è mai uscito fuori al meglio, permetta di apprezzare a prescindere certe scelte musicali. E l’aver ampiamente superato le 20mila copie soltanto in UK con le preordinazioni del disco è senza dubbio indice di un ritorno ardentemente agognato – se non dal pubblico medio – dai seguaci più accaniti della piccola principessa del pop.

Golden sarà disponibile in streaming e in download su tutte le piattaforme dal 6 aprile via BMG Rights Management/Darenote.

Francesco Cappellano




Un commento su “Golden, l’insolito compromesso di Kylie Minogue”

  1. Credo che questo disco di Kylie non sia poi cosi “country” ha influenze ma non si può parlare di country style a tutti gli effetti; l’album ha una sua logica e coerenza, ovvero ascoltandolo si può notare che segue una traccia pop/country con elementi elettronici, seguita da una traccia prettamente country style, seppur non condivido troppo episodi “folckloristici” l’ album non snatura completamente il suo stile, come la traccia che da’ il titolo all’album ovvero Golden, non la definirei country e nemmeno “disco dance” ma pop come altre nel disco e che tengo a precisare non sono poi cosi tanto frequenti se non 4 tracce completamente dal sapore “acustico” lasciando poi sfumare lo stile in elementi e cori la quale fanno in modo di non esser un album catalogato come “country”. Per esempio Shelby68 pare 4 in The morning di Gwen, un pop malinconico e ritmato dove si introduce con una melodia acustica accompagnato da arpeggi di chitarra per poi crescere in un ritmo incalzante con una base non invasivamente troppo elettronica.
    Una nota che non so se possa essere negativa è L’uso della voce, ovvero meno “sensuale e giocosa” ma con un disco con tematiche importanti gli’è lo si concede.
    Tirando le somme si può definire un album dove Kylie incontra Taylor, ma la Taylor più pop dell’album 1989. Quindi niente panico per questo disco! la Kylie fatina e danzereccia non resta un ricordo, sopratutto nella versione deluxe del disco.

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