Disclosure, in “Caracal” più sentimento e BPM rallentati

Dopo quasi due anni dal primo disco Settle e dopo aver ingolosito fan e simpatizzanti con una discreta falange di singoli e buzz tracks negli ultimi mesi, lo scorso 25 Settembre il nuovo album del duo britannico dei Disclosure ha raggiunto i negozi di musica in formato sia fisico che digitale. Il titolo scelto per il nuovo progetto è Caracal, uno dei più misteriosi e al contempo intriganti nomi che siano mai stati attribuiti a un opus discografico.

Caracal cover
Disclosure, cover dell’album “Caracal”

A motivare la ricercatezza di questa decisione ci aveva già pensato uno dei due fratelli originari del Surrey, Howard, che aveva dichiarato:

Caracal è il nome di un fantastico gatto selvatico da cui sono rimasto estremamente affascinato durante lo scorso tour; adoro il suo aspetto, le sue capacità fisiche e il suo essere anonimo. Mi è parso calzasse a pennello anche per il nostro marchio Wild Life, per cui il Caracal ha assunto perfettamente senso come immagine principale per il nuovo album. Nel corso della registrazione, poi, ci è sembrato naturale intitolare così anche il disco”.

Dopo aver ascoltato questo nuovo lavoro, non possiamo che concordare.

Caracal non segna un distacco netto dallo stile e dal genere che hanno reso Guy Howard Lawrence celebri e riconoscibili dagli esordi, questa è la prima percezione. Tuttavia, ogni genere musicale che si rispetti ingloba delle varianti declinabili, e questo è proprio il mantra che i due fratelli pare abbiano seguito durante le varie sessioni: Caracal è un album notturno, in cui a primeggiare sul mix sono spesso e volentieri le bassline, sinuose e curveggianti come le movenze tipiche del gatto a cui il progetto si ispira.

Rispetto al precedente Settle vanta una più oculata cernita di ugole adottate dal mondo soul/jazz che tingono di pathos molte delle tracce, ma senza esagerazioni e virtuosismi.

Melodie vellutate e una dance più placida, contornata da atmosfere lounge, sono parecchio privilegiate, ma non mancano numeri più clubby (lontani dalla più dozzinale EDM).

Le collaborazioni alternano nomi noti al grande pubblico a quelli ancora sconosciuti: di Holding On, primo singolo, abbiamo abbondantemente parlato qualche mese fa; in Nocturnal (brano d’apertura) l’ospite scelto è il talentuoso The Weeknd, intento a cimentarsi in un numero disco/R&B al quale si mescola un intenzionale omaggio alla Chicago House battezzata dai grandi DJ degli 80’s (e con questa consapevolezza la ripresa del synth che ha reso immortale proprio Your Love di Frankie Knuckles diventa facilmente localizzabile).

Ma Caracal è anche altro: in Omen, secondo estratto, l’impronta data al brano è inevitabilmente R&B/pop, data la presenza dell’amico e collega Sam Smith come vocalist, ma è la fusione con elementi house e garage che si rivela accattivante. Esaltano il ritornello in falsetto di Smith le oscillazioni dubstep di una bassline che ritroveremo nei pezzi successivi e le percussioni a doppia battuta tanto amate dai produttori urban.

Willing & Able è un pezzo dalle distese vibrazioni chill out che dà seguito alle atmosfere notturne del disco: è introdotto da un fruscìo vinilico e da una base dal palpito cadenzato, seguita da un basso che aumenta man mano di consistenza e volume, rievocando il suono di un organo, e dalla voce dell’esordiente Kwabs che raggiunge l’acmé nel ritornello, tanto struggente quanto romantico, cesellando un altro elegante esempio di R&B/soul elettronico.

Con Hourglass si torna all’Underground House dei locali meno mondani di Londra, laddove questo genere alternativo a quello in voga nel ’95/’96 emetteva i primi vagiti attraverso le grandi voci del mondo neo soul (quella dell’emergente Jillian Hervey delle Lion Babe in questo caso), e si ricrea in maniera pedissequa il mood fumoso e il rimbalzo concavo di quei suoni negli speakers, con un paio di breakdown aggiornati agli anni 2010 e una piccola iniezione di synth disco anni ’70, consona all’aplomb da diva della Hervey.

Per trovare qualcosa che si avvicini maggiormente al dance/pop propriamente detto bisogna skippare fino alla traccia #7, Jaded, una delle perle incluse nel disco, cantata in via del tutto speciale da Howard, in cui il richiamo alle sonorità del pop sintetico degli anni ’80 è lampante: basta ascoltare la parte che segue il ritornello per godere di molti degli elementi che hanno reso quel periodo musicale eterno e memorabile, tutti riprodotti con tastiere emule dell’intramontato 808 sound. Dai claps ripetuti a distanza di microsecondi l’uno dall’altro, identici a quelli dell’incipit di True Faith dei New Order, allo scampanellìo tipico di pezzi nati nel 1987 come I Wanna Dance With Somebody di Whitney Houston.

Magnets, altra sorpresa, vanta un featuring d’eccezione: Lorde, astro nascente ma già luminoso del pop alternativo e trippy, che in questo pezzo colora la propria voce di charme e sensualità inaspettata, intonando melodie languide su una base hip hop dal ritmo midtempo e galoppante, incalzata da suoni elettronici a cui l’orecchio è già stato abituato, mentre la triade Molecules/Moving Mountains/Masterpiece costituisce un’ulteriore full immersion nel mondo R&B/soul, per l’esattezza quello delle slow jams tipiche del genere, decisamente poco adatte alle luci stroboscopiche.

Le collaborazioni con Nao e Miguel non si discostano molto dalla scìa tracciata dai brani precedenti, ma Superego si presenta ad ogni modo come una fugace parentesi tendente al drum&bass, genuinamente britannica.

La chiusura del disco è suggellata dalla martellante traccia hip house Bang That, Echoes (altro brano cantato da Howard) e Afterthought, che riprendono le sonorità club friendly lasciate in sospeso da Holding On, contraddistinte da un mix esplosivo di Garage e Classic House di metà anni ’90.

A trainare questo nuovo LP è un progetto videografico altrettanto insolito per i Disclosure, pensato e realizzato insieme al regista Ryan Hope: un cortometraggio filmato qualche mese prima del lancio del disco e diviso in quattro puntate, ciascuna delle quali supporta e promuove visivamente un singolo, oltre a sceneggiare una storia con tanto di trama, dialoghi e attori. Gli episodi finora pubblicati sono tre: Holding On, Omen e Jaded. Manca solo il quarto per dare una conclusione al mini film.

Ascoltando le varie tracce, la coesione musicale che pervade l’intero album appare cristallina: di base, il kit di sintetizzatori, percussioni e samples usato per gli arrangiamenti è (quasi) sempre il medesimo, ma a cambiare sono le sequenze, il modo in cui gli elementi vengono raccolti, potenziati, isolati e combinati tra loro in ciascun brano.

Le voci che animano Caracal sono calde, trasudano soul, in alcuni pezzi suonano cavernose e distinte da un intenzionale ritocco vintage che le rende più suggestive di quanto lo siano al naturale. Non emerge una vera e propria volontà di distaccarsi dallo stile del precedente Settle, e lo abbiamo già detto, ma l’ascendente stavolta esercitato sul duo dagli echi più underground e black dell’house del secolo scorso è innegabile. 

L’esigenza che ha diretto la realizzazione di Caracal è quella di rallentare il BPM e dare più spazio al sentimento e al talento canoro, convalidando il canone musicale che i Disclosure hanno rivitalizzato e personalizzato in ambito mainstream dal 2013 e lasciandolo intatto, rispettato alla lettera (forse anche troppo). Agli ascoltatori la sentenza finale!

Caracal è attualmente disponibile in versione standard, deluxe e doppio vinile, distribuito da Island Records/Universal.

Francesco Cappellano

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