Quando è apparsa su iTunes come parte del primo teaser da Rebel Heart, pubblicato d’emergenza a dicembre scorso per ovviare al danno provocato dal leakage di diverse demo registrate per il nuovo progetto, Bitch I’m Madonna ha diviso lo zoccolo duro dei fan della Regina del pop tra chi ha apprezzato la sua eccentricità urban al primo ascolto e chi l’ha detestata tout court, plausibilmente perché il giorno in cui la signora Ciccone ha reso noto, con tanto di prova fotografica su Instagram, che anche Thomas Wesley Pentz (in arte Diplo) stava collaborando al suo tredicesimo album in studio, molti sentivano che la miscela si sarebbe rivelata esplosiva, ma pochi sospettavano che avrebbe polverizzato il flebile limite che divide genio e pazzia.
Bitch I’m Madonna non è la più opinabile delle autocelebrazioni tradotte in musica dalla superstar italoamericana (come il titolo potrebbe spingere a credere): è voglia di scompaginare schemi e formule tipiche del mainstream e del radio friendly distorcendo e strapazzando suoni commerciali nel nome dell’anticonvenzionale e della Next level shit.
D’altronde, basta ascoltare il brano per cogliere all’istante quel palese mix di bislaccherìa e conclamata demenzialità che lo isola dal resto del disco.
Ecco quello che accade in poco più di 3 minuti: le prime note della traccia, scandite dagli accordi inceppati di una chitarra acustica, lasciano subito spazio a un concitato groviglio di sintetizzatori che tallonano il cantato di Madonna durante le strofe, riproducendo le sonorità trancey di fine anni ’90 tanto care a Sophie, un misterioso DJ indie che usa come alias un nome da donna e ha contribuito alla creazione del pezzo, in qualità di produttore aggiuntivo, mediante alterazioni vocali e tecniche innovative a cui accenneremo più avanti.
Provocazioni verbali, gridate a squarciagola con un tono degno della più acuta nevrosi da caffeinomanìa (Blow up this shit tonight! / Who do you think you are?), portano la base a sfociare più volte in un martellante interludio trap, dove a primeggiare è una strana sequenza synth (una via di mezzo tra oche starnazzanti all’unisono e motoseghe), accompagnata da quella che rappresenta la colonna portante del testo: una contagiosa filastrocca, dal motivo stupido e puerile, in cui la Ciccone esalta spensieratezza, libero divertimento e impenitenza, appellandosi all’universalità dell’ironico motto Bitch I’m Madonna per motivare le proprie biricchinate politically incorrect.
Un’ancora più vorticosa tempesta di bassi (agitata da suoni rave discontinui e battiti di mano campionati che si accavallano e si accoppiano selvaggiamente) introduce poi il rap di Nicki Minaj, che cavalca il beat con una serie di rime sprezzanti, adeguate all’impudenza della canzone, fino a quando il ritmo non si placa e cede posto alle carezzevoli melodie di una ninna nanna elettronica, bruscamente interrotta da un ultimo breakdown in cui gli aggressivi latrati di quello che sembra un cane meccanico vengono usati come outro.
Pur dividendosi tra amore e odio, Bitch I’m Madonna segna in ogni caso una svolta, forse inaugura anche una tendenza: è il primo brano di un’artista di fama mondiale ad avvalersi della strumentazione sui generis supportata dalla PC Music (compagnia indipendente, stazionata a Londra, di cui Sophie è parte), per cui il suono è da concepire come qualcosa di frenetico e malleabile e, tramite appositi programmi digitali, può diventare plastico, liquido e onomatopeico a seconda dell’occasione (Hey QT e Lemonade costituiscono due dei prodotti più rappresentativi di questa direzione musicale).
In linea con il messaggio che il singolo lancia, il video realizzato per Bitch I’m Madonna, diretto dallo svedese Jonas Åkerlund (già regista di Ray Of Light, Music e American Life), ne interpreta il contenuto in modo didascalico, ospitando apparizioni da parte di una cospicua schiera di personaggi famosi (Beyoncé, Diplo, Katy Perry, Kanye West, Rita Ora, Miley Cyrus, Jeremy Scott e, naturalmente, Nicki Minaj) e immortalando Madonna e i suoi ballerini nel pieno di un gremito party notturno organizzato presso il lussuoso hotel Andre Balazs Standard High Line nella Grande Mela.
Questo nuovo clip, impreziosito dalla policromìa dei suoi fotogrammi e dalla fluorescenza dei suoi protagonisti, è anche portavoce di un bisogno più impellente del semplice divertimento a tinte kitsch: è una risposta esplicita ai detrattori, un dito medio alzato in pompa magna contro il nuovo nemico di Madonna, quel fenomeno sociomediatico noto come ageismo che discrimina e penalizza artisti non più ventenni esiliando le loro canzoni dalle playlist delle radio più influenti e procurando cattiva pubblicità.
Disponibile per l’acquisto sotto forma di Remix EP, via Universal/Interscope Records (e già nella top 30 della Dance/Club Chart di Billboard per il maggiore numero di spin ricevuti nelle discoteche americane), Bitch I’m Madonna è il terzo estratto da Rebel Heart, nonché il primo singolo a rispecchiare il lato impavido e spregiudicato del disco, opposto a quello più profondo e sentimentale dei precedenti Living For Love e Ghosttown.
4 commenti su “Ageismo? Bitch I’m Madonna!”