Ammettiamolo senza giri di parole: Justin Timberlake ci ha fregati tutti, nessuno escluso! Quando ha annunciato ufficialmente l’uscita del suo quinto album in studio, Man Of The Woods, divulgandone il trailer introduttivo attraverso il proprio canale YouTube e Facebook, critica e pubblico medio hanno subito ipotizzato che con quel ’ritorno alla foresta’ suggerito dal titolo dell’LP (e a cui la voce del cantante accenna man mano che frammenti audiovisivi dall’imminente progetto musicale si susseguono nel filmato), Timberlake avesse intenzione di prendere in prestito la chitarra di Taylor Swift, il cappello da cowboy di Gaga/Joanne e gli stivali di Billy Ray Cyrus, papà della più nota Miley.
E invece, nulla di più ingannevole: nonostante le inevitabili influenze country sparse qua e là nel prossimo lavoro, il singolo apripista dal disco, Filthy, uscito lo scorso 5 gennaio via RCA/Sony Music, risulta lontano anni luce da qualsiasi preconcetto. Allettante incrocio fra strumentazione organica e digitale, Filthy segue il filone più ’urban oriented’ della sempreverde robotronica (a cui già Robbie Williams si era avvicinato, senza ottenere risultati eccelsi, con il brano Rudebox del 2006) e riprende, quasi a voler autocitarsi, perfino la title track del secondo album di Timberlake, FutureSex/LoveSounds, sostituendo la morbidezza synth disco di quest’ultima con due bassline: una dal suono industriale e traballante, quotatissima nel mondo dubstep e riapparsa, mesi fa, in Mo Bounce della rapper australiana Iggy Azalea; l’altra (meno prominente) dal suono grattato e più funky.
La voce di Justin, nel brano, evita il falsetto che ha distinto per anni lo stile dell’ex leader degli *NSYNC, eppure, complice il beat abbastanza ripetitivo e costante che rischia di annoiare l’orecchio dell’ascoltatore, il pezzo non evolve nel ritmo e nella melodia per più della metà dei suoi 4:53 minuti totali, fatta eccezione per l’outro, la parte finale del pezzo, smossa da un inatteso aggrovigliarsi di distorsioni sonore.
Timbaland: chi si rivede
La produzione di Filthy sancisce il ritorno in ambito mainstream di Timbaland e del suo braccio destro prediletto, Nate ’Danja’ Hills, entrambi vittime di un periodo di stasi professionale seguito ai fasti di circa un decennio fa. Stavolta, però, l’ego del vecchio Timbo si è ridimensionato, e lo si nota parecchio: nessuna traccia dei suoi onnipresenti ’’freaky freaky’’, dei suoi controcori e dei suoi rap; a primeggiare sul brano ci sono soltanto Justin e gli elementi che ne compongono la base.
Justin come Steve Jobs
Nel video promozionale che accompagna la canzone (diretto da Mark Romanek), Timberlake appare nelle vesti di un acclamato showman/inventore simile a Steve Jobs, che decide di spiazzare il pubblico presentando sul palco un androide guidato a distanza, capace di esibirsi al suo posto imitando in modo pedissequo passi di danza e comportamenti umani, fino a trascendere il limite del decoro. Ma attenzione a non fermarci alle apparenze: a giudicare da alcuni dettagli presenti nel clip, e soprattutto dal finale aperto, Filthy non rappresenta che un assaggio da un progetto d’ampio respiro, testimone di una metamorfosi e reinvenzione conseguite da Timberlake e segnate, in primis, dalla volontà di distaccarsi da tutto ciò che il cantante e performer è stato in precedenza. Qualcosa di cui questo primo singolo costituisce senza dubbio un simbolo evidente.
In attesa di scoprire quali sorprese Justin ha in serbo con il nuovo album, che vanterà nella cernita delle collaborazioni altri nomi di spicco come Alicia Keys, Chris Stapleton, Max Martin e The Neptunes, ricordiamo ai nostri lettori che Filthy è attualmente disponibile per l’ascolto in streaming su Apple Music e Spotify e acquistabile su iTunes via RCA/Sony Music.
Un commento su “Justin Timberlake novello Steve Jobs per il video di ‘Filthy’”