Roma, mercoledì 29 ottobre. In un hotel non lontano dalla Città del Vaticano, due ragazzi norvegesi di origine africana rilasciano interviste ai principali media italiani. Il singolo che li ha lanciati a livello globale, Am I Wrong? – arrivato in testa alle classifiche di quaranta paesi e al quarto posto di quella più ambita, Billboard U.S.A. – ha appena raggiunto lo status di disco di platino anche nella nostra penisola. «La risposta che sta avendo la nostra musica è incredibile», confessano, «siamo davvero grati di poter fare ciò che amiamo come lavoro». A questo punto, molti avranno già capito di chi stiamo parlando: quei due ragazzi sono Nico & Vinz, la nuova sensazione del pop che viene dal nord; solo che la loro musica, di scandinavo, ha ben poco. I colori che emergono da essa sono caldi, baciati dal sole di quell’Africa da cui provengono le loro famiglie. Un’Africa che si affaccia sull’affresco del loro ultimo album, Black Star Elephant (Warner Music), non solo a livello di suoni, ma anche a livello tematico.
Da dove è arrivata l’ispirazione per il nuovo lavoro [il secondo, ma il primo accreditato a Nico & Vinz; il precendente era a nome Envy, N.d.R.]? L’aspetto più interessante è che gli intermezzi parlati presenti in esso sembrano collegare tutti i brani a creare una sorta di “racconto”. Come vi è venuta l’idea di fare una cosa del genere?
Nico: A volte è difficile dire da dove arrivi l’ispirazione. Volevamo creare qualcosa di nuovo, di unico, che ci rappresentasse al 100%. Perciò ci siamo messi davvero alla prova nell’album: abbiamo radici africane, ma siamo nati e cresciuti in Norvegia; in passato, poi, facevamo molto più rap. Perciò abbiamo inserito tutte queste caratteristiche nel sound. Grazie agli intermezzi, abbiamo raccontato la storia di questo “elefante della stella nera”, che simbolizza noi e i luoghi da cui siamo arrivati [il titolo dell’album unisce, infatti, i simboli della nazionali di calcio di Costa d’Avorio e Ghana, i loro paesi d’origine, N.d.R.], e i nostri sogni, che ci hanno portato dove siamo ora. La voce narrante di questa storia, nell’album, è quella di mio zio, che insieme a mio padre ha suonato gli strumenti che si ascoltano in sottofondo. Le sue parole vogliono rappresentare gli insegnamenti che i genitori trasmettono ai figli.
Vinz: Desideravamo creare una storia che avesse un inizio e una fine, una specie di diario che raccontasse la nostra vita e il modo in cui siamo arrivati qui.
Le vostre radici musicali affondano prevalentemente nell’hip hop; com’è stata la transizione verso brani più “cantati”?
V: Estremamente naturale. Semplicemente, è accaduto. Amiamo rappare, ma, ascoltando la radio, sentivamo tutte quelle melodie e pensavamo: “Però possiamo cantare anche noi, sappiamo farlo e ci piace anche questo!”. Non è che ci interessasse il fatto di diventare “estremamente pop” per piacere alla gente; semplicemente, è un altro modo per esprimere noi stessi.
La vostra è una musica gioiosa; da dove arriva questa gioia e cosa volete comunicare a chi vi ascolta?
N: Secondo noi è importante concentrarsi su ciò che c’è di positivo nella propria vita. Eppure, molti dei testi contenuti nel disco cercano di scavare più nel profondo e parlano di ciò a cui si va incontro nella vita di tutti i giorni, che ovviamente può essere anche malinconico. Persino Am I Wrong?, in un certo senso, può suonare “ribelle”: il senso di ciò che cantiamo è “Perché non posso credere nei miei sogni, perché devi cercare di tenermi giù, perché non posso provare a raggiungere i miei obiettivi?”. Ma la musica suona molto positiva: è un buon contrasto, perché puoi sentirti felice ascoltando e ballando la canzone, ma anche fermarti a riflettere se presti attenzione alle parole che cantiamo.
Another Day, ad esempio, ha un testo che parla di sofferenza, di fame, di guerra. Rappresenta un po’ il “lato oscuro” della vita?
V: Esattamente. Il testo racconta proprio di come i nostri genitori siano andati via dall’Africa affinché noi avessimo l’opportunità di un futuro migliore. Grazie al loro sacrificio, noi abbiamo sempre avuto ciò di cui avevamo bisogno, non siamo cresciuti in un luogo dove la guerra dilania le persone, persino i bambini. È una canzone che esprime la nostra gratitudine: ma, allo stesso momento, puoi anche ballare al ritmo di quelle parole così dure.
Si trova proprio al centro dell’album, come se fosse il perno su cui esso ruota.
N: Certo. La storia di questo “elefante” parte con Am I Wrong?, nella quale cantiamo del sogno di arrivare in cima al mondo. Ma, come in tutte le storie di persone un po’ “ingenue”, a un certo punto si viene colpiti dalla realtà, e spesso l’impatto è molto duro. È a questo punto che arriva Another Day: il mondo non è perfetto come si pensava che fosse, e i propri obiettivi, improvvisamente, non sembrano più così facili da raggiungere. Si tratta di un mood che si allarga anche alle canzoni successive.
In People, ad esempio, contrariamente a tutti quei cantanti che si ritrovano a dire alla propria amata “se fossi ricco ti comprerei questo e quello…”, voi cantate “se fossi povero troverei più tempo da passare con le persone che amo”.
V: Quella canzone nasce dal concetto che “l’erba del vicino è sempre più verde”. Spesso la sera si va a dormire rammaricandosi e pensando solo che il giorno dopo dovremo svegliarci presto per andare a lavorare; non si pensa anche a tutte le cose meravigliose che faremo, vederci con gli amici, stare con la famiglia, magari andare a una festa… Anche altre canzoni hanno grandi contrasti al loro interno. In Miracles, cantiamo che ciò che abbiamo non arriva dai miracoli; anche in questo difficile periodo dobbiamo credere in noi stessi, altrimenti nessun altro lo farà. E My Melody, che presenta appunto una melodia molto accattivante, è in realtà una canzone sull’AIDS.
Avete aperto i concerti di Bruno Mars e l’anno prossimo toccherà a quelli di Usher. Cosa rappresentano per voi gli spettacoli dal vivo e cos’è cambiato da quando avete iniziato a relazionarvi con l’ambiente americano?
N: Senza dubbio, in America tutto è molto diverso e, in definitiva, più grande. Non sentiamo alcuna pressione derivante da questo, però; le persone che lavorano con noi capiscono cosa ci rende diversi dagli altri e ci danno carta bianca perché sanno che arriviamo da un certo percorso. Gli spettacoli dal vivo sono ovviamente l’altro pilastro della nostra attività. È bellissimo che, tramite essi, la gente possa entrare in contatto non soltanto con la nostra musica, ma anche con noi stessi. Registrare in studio e suonare dal vivo sono gli aspetti principali di questo mestiere, e fortunatamente sono anche i più divertenti.
Vi siete esibiti sul palco del Premio Nobel per la Pace. Che cosa ha significato per voi?
V: Solo il fatto di partecipare a quella cerimonia è stato per noi motivo d’orgoglio. Si tratta di un palco dal prestigio incalcolabile, soprattutto per quello che esso rappresenta. Il pubblico, poi, è stato fenomenale, e suonare con un’orchestra è qualcosa d’inimmaginabile. Quando ci chiedono quale sia stato il momento più incredibile dell’anno che abbiamo passato, tiriamo sempre fuori quell’esibizione.
Avete girato il videoclip di Am I Wrong? in Botswana; avete sostenuto che il vostro obiettivo fosse presentare al mondo il lato più bello e allegro dell’Africa, al contrario dei canali d’informazione che si concentrano quasi esclusivamente sui suoi gravi problemi. Pensate, come artisti, di poter contribuire in qualche modo e di poter intervenire in questa situazione?
N: Crediamo che si possa contribuire in molti modi diversi. Spesso, quando si compone, ci si concentra sugli aspetti più negativi dell’esistenza. Anche se non interveniamo in prima persona in cause umanitarie, il semplice fatto di essere due musicisti norvegesi di origine africana che scrivono e cantano musica ottimista, può essere motivo di ispirazione e orgoglio per molti africani – e per molti europei allo stesso tempo – perché diamo una rappresentazione dei nostri paesi quanto più possibilmente positiva. Io sono stato cinque o sei volte in Costa d’Avorio, da piccolo durante le vacanze scolastiche, poi ci ho vissuto per un anno, nel 2007. Ho un legame molto forte con essa.
In questo periodo, l’Africa – e in particolare le regioni vicine ai vostri paesi d’origine – stanno vivendo un grave problema come la diffusione del virus Ebola. Cosa pensate di quel che sta accadendo e del modo in cui le notizie arrivano in Occidente?
N: Ovviamente le notizie sono ormai una fonte di spettacolo e spesso i network si concentrano su ciò che può “vendere”. Ricordo che, quando in Costa d’Avorio c’era la guerra civile, i media occidentali riportavano avvenimenti molto diversi da quelli che effettivamente accadevano e che i nostri amici ci raccontavano. Bisogna stare molto attenti con le informazioni… In ogni caso, la situazione attuale è molto dura e spero che possa migliorare al più presto. Ma credo che alla fine il morbo verrà fermato, che l’Occidente darà il suo apporto alla causa, anche perché è minacciato direttamente da essa.
Tornerete presto nel nostro paese?
N: Saremo impegnati soprattutto in iniziative promozionali da qui alla fine dell’anno; in questi giorni siamo a Roma per promuovere il disco, poi partiremo per la Francia, e appena terminato lì torneremo da voi, a Milano. Al momento non ci sono date dal vivo previste per l’Italia, ma di sicuro per l’anno prossimo organizzeremo qualcosa!
Foto di copertina: Ufficio Stampa